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Paletta di Coggiola, fra dibattiti e tradizioni

Coggiola è un paese in provincia di Biella, celebre per essere la terra madre del prosciutto di paletta. Sotto questo curioso nome si cela una specialità nota ai raffinati gourmands regionali (e non solo) la quale, fino a poco tempo fa, poteva fregiarsi del presidio Slow Food. Ma iniziamo con ordine… La carne della paletta di Coggiola proviene da suini piemontesi selezionati e di pezzatura non troppo pesante. Il taglio prescelto è quello della spalla ed è comprensivo di osso. Quest’osso, dalla caratteristica forma piatta (“a paletta” appunto), fu l’ispirazione per il simpatico nome dato al prodotto finito. La lavorazione avviene ancora in maniera tradizionale. La spalla, precedentemente sgrassata, viene separata in due parti simmetriche; esse sono successivamente riposte in salamoia per un periodo che varia dai quindici ai trenta giorni, a seconda del peso del prodotto. In queste settimane la carne è monitorata e massaggiata al fine di permetterle la corretta assunzione del sale: in simili passaggi risulta decisiva l’esperienza dell’artigiano.

La fase successiva è quella della concia: la carne si sposa con pepe nero, erbe locali, bacche e aromi che variano da ricetta a ricetta. Negli scorsi anni fu aperto un imponente dibattito sull’eventuale presenza del vino nella preparazione: alcuni macellai locali ne rinnegarono l’impiego (portando vecchi ricettari come testimonianza), altri operatori sostennero il contrario. Questo disaccordo costò il mancato rinnovo della paletta fra l’elenco dei presidi Slow Food. Trascorso il giusto periodo in concia (di norma un paio di settimane), il prodotto viene insaccato in budello naturale (vescica) e legato a mano con spago naturale. Per agevolare l’espulsione della salamoia in eccesso la superficie del prodotto viene punzecchiata con un apposito attrezzo. Siamo giunti alle operazioni finali: il salume, appeso, riposa per una ventina di giorni in locali con temperature comprese fra i dieci e i sedici gradi. Terminato questo laborioso iter, la paletta di Coggiola è pronta per la vendita.

Di pezzatura media, fra gli 800 e i 1.200 grammi, di forma tondeggiante, di consistenza compatta, il nostro salume è generalmente consumato previa cottura di un paio d’ore abbondanti in acqua non salata. Servita calda, dal profumo avvolgente, è fantastica con la polenta o con le patate lessate: abbinarla a cibi “poveri” non tradisce le origini umili di questo salume.
Possiamo però gustare la paletta anche cruda: in questo caso necessita, oltre che di una stagionatura, di alcuni mesi, anche di costanti attenzioni (il budello naturale va inumidito periodicamente per permettere alla carne che avvolge di mantenere la giusta consistenza). La conservazione in doja (sotto strutto, in un tradizionale recipiente di coccio) preserva il prodotto dagli agenti esterni restituendogli una nota piccante.

Se decidete di consumare il salume crudo, alcuni esperti piemontesi consigliano di adagiare le fette di paletta, tagliata non troppo sottile, sopra un letto di insalata e mostarda dolce. Per accompagnare la degustazione è gradito un bicchiere di barbera, vino dal giusto equilibrio, in grado di sposarsi con la sapidità del salume.

Fra il paese di Coggiola e i comuni limitrofi, nel secondo dopoguerra, sorgevano una dozzina di salumerie e macellerie impegnate nella produzione della paletta; oggi in paese vi sono solo tre negozi a mantenerla in vita. Siamo fiduciosi che la neonata Associazione di Produttori, oltre alla spinta dei paesani, permetterà a questo baluardo della tradizione gastronomica biellese di tornare nella lista di presidi Slow Food.

Giorgio Montanari


Nota

L’autore desidera ringraziare Gianluca Foglia, sindaco di Coggiola, per i preziosi chiarimenti.

 

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(Per gentile concessione della rivista “Premiata Salumeria Italiana”
Questo mio articolo fu pubblicato su questa rivista a pagina 78 del fascicolo numero 4, anno 2012.
Per maggiori informazioni consultate il sito: http://www.pubblicitaitalia.com/ )

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